La situazione di pandemia, provocata dal virus denominato Covid 19, ha cambiato radicalmente da un giorno all’altro la nostra vita e forse ci è sembrato di essere entrati in un sogno, o magari addirittura in un terribile incubo!
Mai come in questi momenti ci siamo accorti di essere legati gli uni agli altri, per cui i nostri comportamenti condizionano la vita degli altri e viceversa. Abbiamo dovuto modificare le nostre abitudini, quasi azzerare il nostro contatto con gli altri nella scuola, nel lavoro, nei negozi, nel tempo libero ed anche nelle Chiese, con l’impossibilità di partecipare alle celebrazioni ed in particolare alla Santa Messa.
Credo che questo debba farci comprendere che non siamo “isole”, ciascuno per sé; ma siamo persone in relazione, ognuno con il suo carico di responsabilità per il bene di tutti. Ecco: impariamo a pensare in termini di “noi” e non di “io”; rafforziamo la consapevolezza che è essenziale preoccuparci degli altri prima che di noi stessi. Ho trovato questo bella espressione che mi ha colpito: lasciamoci toccare dal pensiero dell’altro!
Quanto è successo - e sta ancora succedendo - ci mette di fronte con estrema chiarezza al senso del nostro esistere, con la drammatica tensione tra la vita e la morte. Rimuovere la morte dal nostro orizzonte (e quanti morti in questi mesi!) rischia di rendere le nostre vite vuote di senso. L’epidemia che ha colpito il mondo intero ci ha rivelato la vulnerabilità della nostra esistenza, che non è eterna qui ma in Dio, nel suo Regno.
Afferma uno scrittore contemporaneo a proposito della situazione che stiamo vivendo: “Non ho paura di ammalarmi. Di cosa allora? Di tutto quello che il contagio può cambiare. Di scoprire che l’impalcatura della civiltà che conosco è un castello di carte. Ho paura dell’azzeramento, ma anche del suo contrario: che la paura passi invano, senza lasciarsi dietro un cambiamento”.
Occorre perciò rendere feconda anche questa situazione, che ci impoverisce e ci rende leggeri, per porci le domande che contano: che senso ha la mia vita? Dove sto andando? Che cosa sto costruendo? Sono grato di quello che ho, della mia famiglia, dei miei amici, della mia comunità? Non censuriamo questi interrogativi che ci possono purificare da tanti orpelli ed educarci ad una vita buona, perché – dice un poeta – “È il pensiero della morte che, alla fine, aiuta a vivere”.
Per chi crede è l’ora di tenere alta la preghiera nel quotidiano, personalmente e con i nostri cari, intercedendo per tutti: per i medici e gli infermieri affinché non si arrendano alle difficoltà; per coloro che hanno responsabilità politiche perché provvedano il necessario; per chi si è ammalato e spera presto di guarire; per coloro che non ce l’anno fatta (ricordo tra gli altri il nostro carissimo mons. Ezio Bisello, che è stato vicario parrocchiale a Somma S. Agnese dal 1991 al 1999) ed ora sono davanti a Dio per ricevere un giudizio di misericordia.
Diceva il grande vescovo di Molfetta mons. Tonino Bello (1935-1993) con parole oggi profetiche: “Non dobbiamo passare dall’isolamento alla solitudine. Oggi ognuno vive per conto suo, se ne infischia degli altri. L’isolamento è un disvalore. La solitudine invece no: significa capacità di pensare, desiderio di riflettere, di meditare, mettersi davanti a Dio, caricarsi, impregnarsi della sua luce con la preghiera e la meditazione. Oggi non sappiamo più pensare, non c’è tempo per pensare”. Forse questo tempo, per noi oggi, è arrivato!