Carmen ha 82 anni e sta con noi ormai da qualche tempo: è stata sua la decisione di entrare in una RSA per non gravare sulla vita dei suoi figli e dei suoi nipoti, nonostante sia ancora in gamba e piena di energia.
Ha la stessa vitalità e lo stesso entusiasmo di una bambina: un po’ cresciuta, certo, ma pur sempre una bambina.
Non la si vede mai con le mani in mano: questa settimana, con sole caldo e il cielo limpido, ha talmente insistito che abbiamo dovuto farle piantare le viole che avevamo acquistato in serra; come diceva lei, nel punto in cui le sembrava potessero ricevere una luce del sole migliore, nei vasi che le piacevano. Fa la maglia, gioca a carte, costruisce bambole di pezza per la sua nipotina Emma.
Di notte, quando fatica a dormire, ama scrivere: ha un quaderno su cui mette nero su bianco i suoi pensieri, le sue emozioni e – ogni tanto – condivide con noi qualche pagina, mettendoci al corrente di ciò che prova, di ciò che sente.
Abbiamo chiesto a Carmen se aveva voglia di regalarci un piccolo pezzo di sé, dei suoi racconti; sapete che ha fatto? Ci ha dato in mano il suo quaderno, ci ha chiesto di leggere e di scegliere il testo che ci piaceva di più, con una piccola accortezza: “Ho fatto solo la quinta elementare, se c’è qualche errore correggetelo voi, per piacere”.

“La Madonnina del Sacro Monte”
Quando ero piccola, la mia famiglia aveva l’abitudine di fare il pellegrinaggio al Sacro Monte di Varese, in estate, insieme ai nonni paterni e alle zie Maria e Irma. Il giorno prima della partenza eravamo tutti in fermento per questa gita, la mamma e la nonna preparavano le fette di pane giallo con il salame o la marmellata, la zia Irma una bella torta e la zia Maria si faceva carico della frutta: andava in giardino e riempiva la borsa di paglia di tutta la frutta che trovava. Anche gli uomini si davano da fare: nonno Giulio si procurava un bel fiasco di vino e mio papà lucidava il suo piffero perché lo portava per suonarlo durante il viale in salita delle cappelle mentre si recitava il rosario. Prima di salire per questo viale io, la piccolina, dovevo strappare un mucchietto d’erba, metterlo sul muretto, dove poi veniva una strega a prenderlo, lasciandoci passare: io non l’ho mai vista, ma ci credevo! Arrivati in cima alla salita, c’è la chiesa e – tutt’intorno – bancarelle di dolci e giocattoli. A me compravano sempre la “giurmeta”, costava poco e io ero comunque contenta: era la faccia di una bambina tutta di zucchero, con un bastoncino da tenere in mano. Dopo la visita alla Madonnina, si cercava un posticino all’ombra per pranzare e dalle borse saltava fuori un po’ di tutte le cose buone che avevamo portato.
Verso sera, si tornava a casa ed erano tutti molto stanchi: io però mi sedevo sulle spalle di mio padre e, da lassù, sembrava che il mondo potesse essere mio. Tutto questo viaggio è per sentito dire dai miei perché io mi ricordo ben poco: ero solo una bambina.

“Pino il cavallo matto”
Vicino a casa mia abitava un contadino di nome Alfredo, detto Fredo. Questo Fredo aveva una stalla con nove mucche, un cavallo e un’infinità di galline, oche, conigli, due cani e tre gatti, ma chi comandava questo zoo era Pino. Fredo doveva sempre portarlo fuori nei campi altrimenti faceva il matto. Alla sera, quando tornava a casa, se Fredo – dopo averlo slegato non faceva in fretta a portarlo in stalla – lui scappava e di corsa faceva il giro dell’isolato. Noi bambini eravamo in strada a giocare e appena sentivamo gli zoccoli di Pino, tutti scappavamo, avevamo paura che potesse farci del male travolgendoci. Ma, un bel giorno, a Fredo venne un’idea. Siccome al lunedì non aveva niente da fare e tenere in stalla Pino lo si sentiva fino in piazza, pensò di portarlo al Ticino, portando sul carro le mamme con i bambini del vicinato: così facendo, lui stava buono e noi ci divertivamo. Arrivati sul posto, Pino era molto stanco e così stava buono tutto il giorno e noi bambini stavamo in acqua a giocare e le mamme sedute all’ombra a chiacchierare tra loro. Che bei tempi che erano, la gente era più contenta, più socievole; chissà se torneranno ancora quei periodi…

A noi non interessa una bella calligrafia, una grammatica corretta o una sintassi perfetta: a noi, prima di tutto, interessa che Carmen stia bene, che scrivere possa essere una sua valvola di sfogo, nei confronti di una quotidianità diventata ormai assordante; a noi interessa che la scrittura, per Carmen, sia fonte di vita e bellezza, continuando a rimanerle grate per i piccoli, grandi tesori che ci dona quando ci confida episodi e storie della sua esistenza.