Parlare in generale sull’argomento “la caccia e i cacciatori” non mi sembra il caso poiché esso, in lungo e in largo, fu descritto da moltissimi autori, sia essi noti sia ignoti, perciò in questo breve scritto parlerò della “caccia e cacciatori” del nostro territorio.
Il territorio sommese con le sue vaste brughiere e foreste fu, senza tema di smentite, per migliaia d’anni un magnifico territorio di caccia, perché ricco di ogni tipo di selvaggina sia essa minuta sia di grossissima taglia. Per quest’ultimo caso ricordo che i Duchi di Milano percorrevano le nostre terre a caccia di cervi, cinghiali e orsi e, da quello che la tradizione orale ci fa sapere, fu dopo l’uccisione dell’ultima di questa specie (un’orsa di grosse dimensioni che viveva nella foresta della frazione Coarezza) quella località ove essa aveva la sua tana o vi fu uccisa, si ebbe il toponimo di “Orsa”.
Fra le varietà dello sport venatorio una fu quella della “caccia alla volpe”, oggigiorno in disuso ma fino agli anni “50” del secolo scorso era praticato principalmente dalla nobiltà e dai Signori (con l’esse maiuscola) i quali, su invito delle Famiglie Visconti, si dava convegno nel castello sommese per poi trasferirsi a cavallo nelle ampie brughiere circostanti per praticarvi detto “sport”. Fra le personalità illustri che il castello ospitò, si annoverano i primi Re d’Italia: Vittorio Emanuele II e Umberto Primo. Un’altra personalità non certamente di secondo piano fu Gabriele D’Annunzio, il quale lasciò a ricordo un gustoso racconto del suo buffo incidente.
Un altro tipo di caccia più “popolare” di quella precedente, è quello alla selvaggina più minuta: fagiano, pernice, conigli e lepre ecc. e per meglio praticarla si formarono associazioni venatorie le quali costituirono delle “Riserve di Caccia” per meglio gestire il patrimonio venatorio. Con l’aumento del numero delle “doppiette” e la conseguente diminuzione della selvaggina “naturale”, qualcuno cominciò ad allevare questi animali in cattività per venderli alle varie associazioni venatorie le quali, in giorni prefissati per la caccia, le liberavano per soddisfare le doppiette dei loro associati.
A proposito dell’allevare animali selvatici voglio raccontarvi un piccolo aneddoto che mi fu riferito quand’ero ancora un ragazzino da una “vecchia doppietta” sommese, o forse era mezzanese? Non mi ricordo più, ma questo non ha importanza. Quest’uomo aveva il pallino di raccogliere notizie riguardanti Somma e il suo territorio, ogni tanto andava a “ravanare“ in vari archivi sia di Stato, della Curia o del Comune di Somma, così, tra le tante notizie serie ne trovò una alquanto buffa riguardante un allevatore di lepri, e poiché era appassionato di quella che lui chiamava “lingua madre” (io traduco dialetto) il racconto mi fu fatto in dialetto ed io lo così scrivo aggiungendovi traduzione in “lengua taliana”.

HANN DERVI’ LA CACIA
A manzina sa sint un gran spaar
E a driza ‘n gran culp al rispund,
In d’ann rabelott tuttcoos a sa fund
Intant che ‘l ciel diventa già ciaar.
Mò in di bosch, in di prà li arent
Chela paas d’una volta, chi la sent?
Una frota da gent begn armà
Cunt i sciòpp e fusij dogni sort
L’è rivava a purtà dumà mort
In di bosch e tra i fiour di stì prà;
A gh’è insema di cann maestrà
Che sugutan a latrà e bujà.
In brughèra la paas l’è scapava,
A gh’è pù chel’usmett di so fiour.
Da la pulver sa sint dumà udour
Mia ’l prufum che ’l brugh prima dava.
Mò in gir gh’è dumà fifa e suspétt
Tra i selvadigh che nisun gh’ha rispétt..
E in di corp di selvadigh piumètt
A ja scuasa na fifa barbina,
A sintì la cagnara canina
Al vidè stì suldà senza elmètt.
Senza coeur, senza gnanca guardà
A tutt chèl ca stà in aria … sparà.
Che silenzi gh’è dent in la tana
Di selvadigh cul pel, fiadan gnanca.
Tucc a pensan a pudè fala franca …
Mà i so oeucc gh’hann la fevra quartana.
Tucc a vosan cunt vous sensa fià
“Ma parchè ho da mourì mò sparà?”

HANNO APERTO LA CACCIA
A sinistra si sente un forte sparo
E a destra un gran colpo risponde.
In un trambusto tutto si fonde
Mentre il cielo schiarisce a oriente.
Adesso nei boschi, nei prati li attorno
La Pace che c’era, chi la sente?
Una moltitudine di persone ben armate
Con schioppi e fucili d’ogni tipo
È arrivata a portare la morte
Nei boschi e tra i fiori dei prati.
Vi è assieme dei cani ammaestrati
Che continuamente latrano, abbaiano.
Dalla brughiera la Pace è scappata,
Non vi è più il profumo dei fiori.
Solo della polvere da sparo c’è odore
Non il profumo che il brugo pria dava.
Ora in giro c’è solo fifa e sospetto
Tra i selvatici dei quali niun ha rispetto.
E i corpi dei selvatici alati
Li scuote una fifa barbina,
Nel sentire la cagnara canina
Al vedere i solda senza elmetto,
Senza cuore, senza nemmeno guardare
Quello che vola ma… solo sparare.
Quanto silenzio c’è dentro la tana
Del selvatico pelo, niuno respira.
Tutti pensano a potersi salvare …
E gli occhi hanno la febbre quartana.
Tutti gridano con voce silente
“Perché devo morire per niente?”.