Italia fanalino di coda

Sono più che convinto che la maggior parte degli italiani non sa che l’Unione Europea mette a disposizione degli stati membri cifre considerevoli utili allo sviluppo ed alla crescita degli stessi.

All’Italia sono spettati, dal 2014 al 2020, 76 miliardi di euro (44 messi a disposizione dall’Europa e 32 dallo stato italiano). Di questi, ad oggi, non ne è stato utilizzato neanche il 12 %, quindi nemmeno la metà della quota parte che l’Italia ha messo a disposizione.

E’ facile capire che i fondi, se assegnati e non utilizzati, dovranno essere restituiti e gli altri non ottenuti, perché non richiesti, verranno destinati agli altri stati europei membri più performanti dell’Italia e che hanno realizzato di più. Il frutto di questa scarsa capacità italiana di accesso a questi benefici pone la nostra nazione al penultimo posto tra gli stati dell’Unione Europea. Dopo di noi troviamo solo la Croazia.

Tra qualche mese l’Italia andrà a contrattare con l’Europa la quantificazione dei nuovi fondi relativi al periodo 2021, 2027. Ma se noi avremo utilizzato solo poco o nulla di quanto ci spettava nel periodo anzidetto (2014 - 2020), come potremo chiedere che ci vengano assegnate le stesse cifre dello scorso periodo o ancor di più, se siamo stati in grado di utilizzare solo meno della metà di quanto era stato messo a nostra disposizione? Sicuramente la parte del leone la faranno le nazioni che saranno state più in gamba di noi e tra queste spiccano la Spagna e la Polonia, oltre che gli stati del centro e nord Europa.

Ma come mai l’Italia è così malconcia da non riuscire ad utilizzare poco o nulla di quanto le spetterebbe?

I motivi sono più d’uno.

Innanzitutto, e per loro colpa, non tutti gli enti pubblici e privati sono esaurientemente informati dei vantaggi e/o dell’esistenza dei variegati fondi europei.

Sia a livello locale, che provinciale, che regionale, che privato, esistono poche strutture burocratiche organizzate, tecnicamente ben preparate e capaci di individuare, selezionare e gestire i fondi europei. Le regioni italiane più performanti sono l’Emilia Romagna e la Toscana che comunque non sono andate oltre la realizzazione del 20% di quanto l’Europa ha concesso loro, mentre il resto dello Stivale langue. Quindi la prima cosa da fare sarebbe quella di costituire nelle regioni, nelle province, nei comuni grandi e nei comuni piccoli, opportunamente associati, degli staff che si occupino solo di queste problematiche, che abbiano una valida formazione universitaria o meglio ancora un’adeguata specializzazione post–universitaria, data la complessità della materia.

Aggiungiamo che la farraginosità della burocrazia italiana ritarda l’utilizzo e la concretizzazione dei progetti che i contributi europei offrono.

In Italia, più che in ogni altro stato europeo, persistono e credo purtroppo che persisteranno ancora, guerre di campanile e lotte di fazioni politiche, ove una fa la “guerra” all’altra e nessuna delle due, tre, quattro o più, opera pensando al bene della comunità. Alla fine invece le problematiche restano irrisolte ed il clima civile, deteriorato sempre di più.

Non da ultimo, la riconosciuta “furbizia” degli italiani, oltre che le frodi, non facilitano l’erogazione dei contributi, comunque soggetti al necessario controllo riguardo al loro corretto uso.

Quindi la colpa maggiore, a mio parere, ce l’ha quella nostra politica faziosa e partigiana che sappiamo quanto poco sostiene ed opera per lo sviluppo e la soluzione delle molte e gravi difficoltà che stiamo vivendo soprattutto in questo delicato periodo storico. Ma sappiamo bene anche quanto la pigrizia della burocrazia e l’abitudine all’imbroglio ci stanno danneggiando.

Gerardo Locurcio