L’autopsia ha confermato che la piccola Antonella Sicomero, la bambina di 10 anni di Palermo deceduta nel mese di gennaio nell’ospedale dove era arrivata in condizioni gravissime, è morta per asfissia. La piccola si è stretta una cintura al collo, richiesta al padre, mentre partecipava ad una sfida. Sfida dal nome blackout challenge, consistente nel resistere per il maggior tempo possibile con una cintura attorno al collo. Qualcuno potrebbe averla contattato in privato e convinta a partecipare a questa sfida.
Nessuno di noi può dimenticare questa storia. La prima domanda che ci è venuto naturale porci è stata: di chi è la responsabilità di un simile evento? Ne abbiamo discusso lungamente. Siamo è arrivati alla conclusione che senza dubbio non si possa parlare di un solo responsabile, ma di una rete di responsabili. Come in una piramide, al vertice si può trovare l’impianto normativo, la legge, e chi è chiamato a farla rispettare. Poi naturalmente esiste una responsabilità personale, ma è difficilmente attribuibile ad una bambina di dieci anni e in generale a un minore.
Ragionando in generale sul tema dei social, abbiamo innanzitutto svolto una piccola ricerca sui diversi tipi di social diffusi negli ultimi anni, in particolare tra i giovani. Nel nostro Paese, 42 milioni e 200mila persone si connettono tutti i giorni, almeno una volta al giorno. Nel mondo sono 4,388 miliardi le persone collegate.
Il social Instagram piace di più alle donne tra i 25 e i 35 anni ed è lo spazio digitale delle immagini. Questa applicazione è diventata l’app per informarsi in fatto di moda, viaggio, beauty, ma anche di cronaca e politica. A differenza di Facebook, Instagram non permette l’inserimento di link esterni e, per questo, i contenuti informativi sono più curati e fruibili. TikTok è un’applicazione che detiene il record di tempo medio passato online dai propri utenti: 52 minuti al giorno contro i 28 di Instagram e i 38 di Facebook. È la struttura della piattaforma a comandarne l’utilizzo: dall’apertura si accede a una pagina in cui brevi video si susseguono uno all’altro, senza che l’utente possa stopparli e scelti da un algoritmo avanzatissimo. A differenza di Instagram, capita che il contenuto di un utente poco conosciuto diventi virale, perché l’algoritmo premia l’originalità rispetto ai follower. TikTok permette di connettersi facilmente con sconosciuti che hanno però interessi in comune. Ad attirare i ragazzi è l’elevato numero di visualizzazioni che si riesce a raggiungere. Su Instagram si è abituati a vedere le persone che seguiamo; TikTok suggerisce, studia e propone dei contenuti sempre più mirati non in base a quello che pensi, ma in base a quello che fai, creando una dipendenza sempre maggiore. Con TikTok, i cinesi hanno superato tutti nel mondo, ma le proteste su questo social sono state però censurate. Un grosso problema è che non si sa cosa si faccia con l’immensa quantità di dati di tutti gli iscritti.
Proseguendo con le nostre riflessioni, ci siamo occupati di un tema molto importante e attuale, il cyberbullismo, consistente in un insieme di azioni aggressive e intenzionali, di una singola persona o di un gruppo, realizzate mediante strumenti elettronici il cui obiettivo è quello di provocare danni ad un coetaneo incapace di difendersi. Su questo argomento abbiamo condiviso la visione di un cortometraggio (https://youtu.be/S-bXzmCltm8) nel quale il protagonista è un ragazzo che riceve sul suo profilo social una serie di commenti molto offensivi. Tutto questo lo conduce al gesto estremo del suicidio.
In questo periodo di pandemia quello del cyberbullismo è un problema estremamente diffuso tra i ragazzi, spesso costretti a casa davanti al cellulare, talvolta senza la presenza dei genitori.
Esiste una profonda differenza tra il bullismo tradizionalmente inteso e il cyberbullismo, diffuso con l’utilizzo sempre più massiccio della rete.
Le azioni del bullismo avvengono di frequente in ambiente scolastico tra studenti che si conoscono, prevedono scambi relazionali diretti e visibili e quindi sono potenzialmente più controllabili perché avvengono nella concretezza della quotidianità.
Il cyberbullismo invece è forse ancora più insidioso, perché si nasconde tra le pieghe della rete, quindi può nascondere qualunque genere di identità e di personalità e non è controllabile. Le azioni possono avvenire in qualunque momento della giornata e spesso l’invisibilità offre uno scudo al cyberbullo e gli consente di sentirsi libero di mettere in atto azioni che magari nella realtà non compierebbe. Il cyberbullismo conduce anche a un senso di deresponsabilizzazione, perché in qualche modo non sono io in prima persona, ma il “profilo utente” a eseguire l’azione. Un ulteriore differenza è che chi ha un carattere forte può diventare un bullo mentre nel cyberbullismo chi è “vittima” nella vita reale può diventare un cyberbullo (Panchine gialle https://www.facebook.com/helpis.official/)
Cosa serve, allora? Come possiamo difenderci? Ancora c’è da lavorare parecchio, per poter accedere ai social in modo più sicuro per tutti. In un articolo tratto dal Corriere della Sera alcuni ragazzi propongono un patentino per l’utilizzo dei social.
C’è bisogno di una legge chiara e di un garante per il rispetto della legge stessa.
Già esiste una legge europea che prevede l’iscrizione ai social solo dai 14 anni, ma di fatto nella fascia 10/14 anni sono presenti ragazzi in possesso di un profilo social, avendo mentito sull’età.
A seguito del caso della bambina di Palermo, il Garante per la Privacy ha disposto il blocco per l’utilizzo dell’applicazione per le persone delle quali non sia stata confermata l’identità.
Oggi nel caso di utilizzo improprio del social non scatta più il blocco di 24 ore come prima, ma il profilo viene rimosso per sempre.
Un consiglio sull’utilizzo in sicurezza dei social da parte dei bambini riguarda il tempo da poter passare collegati, il blocco notturno e il controllo da parte dei genitori sui siti vietati.
Un’altra azione utile potrebbe essere la creazione di chat di gruppo di confronto tra i genitori per scambiarsi pareri e informazioni, così da creare una rete tra loro.
È chiaro che più i ragazzi conoscono, più si sapranno difendere, al contrario meno conoscono e più saranno vulnerabili e adescabili sul web, dove gli “squali” non mancano.
Una buona educazione alle emozioni resta forse un elemento utile, in quanto i contenuti pubblicati vanno ad attirare l’attenzione dei più giovani proprio solleticando in loro reazioni emotive.
Di sicuro appare chiaro che è importante non pensare di essere immuni dal pericolo, perché tutti siamo esposti, tutti possiamo trovarci in situazioni spiacevoli e poco tutelanti per la nostra sicurezza e per la nostra vita.