Appunti partigiani

 

Il coraggio, la forza, a Carlo non mancavano. Lo sapevano bene gli altri ragazzi: lui alle sfide mai si sottraeva. Come quella che si svolgeva là, dove i frastuoni della fabbrica si spegnevano per lasciare il posto alla campagna e subito dopo alla palude. La prova era molto impegnativa, parteciparvi era già un risultato; bisognava trovare una biscia e prima che strisciasse via, afferrarla e tenerla il più a lungo possibile tra le mani. Imbattibile Carlo.

Questo il racconto di Vincenzo a cui avevo chiesto di parlarmi di lui.

So che si conoscevano e che a un certo punto tutti e due entrarono nella Resistenza. Fu lì che le loro strade si divisero: Vincenzo aderì alle formazioni della zona, mentre Carlo si unì a quelle dell’Alto Vergante, dove prese “Nuvola” come nome di battaglia.

Carlo fu tra i primi a salire in montagna; fu lui a insegnare a tanti ragazzi il coraggio di masticare la guerra. Tra i tanti Guido, giovanissimo milanese arrivato in montagna con il cappottino e le scarpette della festa.

Un giorno il ragazzo gli chiese perché aveva scelto quello strano nome di battaglia. Lui molto semplicemente spiegò che guardando il cielo aveva visto una bella nuvola e quindi …

Prima di entrare nella Resistenza, Nuvola faceva l’operaio; quando salì in montagna decise che l’azzurra tuta da lavoro sarebbe diventata la sua divisa

Anche quel giorno di marzo del ’45 portava quella strana divisa. Alle brigate partigiane era giunto l’ordine di scendere al piano e di fermarsi in alcune cascine vicino a Invorio. La decisione di lasciare le postazioni sicure in montagna, a molti sembrò assurda oltre che pericolosa. I fascisti arrivarono in massa alle prime luci di un’alba fredda e piovosa; quando i Partigiani udirono le prime raffiche di mitra l’accerchiamento era ormai completato ed era troppo tardi per opporre resistenza. Non restava altro da fare che cercare di uscire dalle cascine e attraversando il prato raggiungere il bosco, sfidando quel cerchio di fuoco.

Facile a dirsi, meno a farsi, perché anche per fuggire a volte ci vuole coraggio.

Il primo ad uscire fu Mario, nome di battaglia Vento, le raffiche di mitra lo falciarono quasi subito; poi fu il turno di Nuvola che scattò in piedi e si lanciò in una folle e zigzagante corsa, alcune pallottole lo raggiunsero, lui però riuscì ad arrivare ai bordi del bosco. Era ferito ma vivo, solo alcuni passi lo separavano dalla salvezza.

Poi quella tuta, quella maledetta tuta s’impigliò in un rotolo di filo spinato e lui perse tempo cercando di liberarsi dal groviglio che lo bloccava. Il coraggio, tutto il coraggio di cui era capace non bastava più e le forze gli mancavano. I fascisti lo raggiunsero: e furono pugnalate e poi dolore, sangue e alla fine il nulla...

Certe volte, perso in uno sguardo al cielo, mi capita di pensare a Nuvola, al bel nome di battaglia che si era dato, a quella strana divisa e al suo spirito ribelle. Ne tratteggio l’immagine e sebbene non l’abbia mai conosciuto, mi ritrovo a pensare a lui con la stessa intensità emotiva che mi coglie quando ritorno a quei buoni compagni di viaggio che hanno dato respiro alla mia vita.

Ma Nuvola è ancora qui, insieme a Ugo, a Nicola e a tutti gli altri; e quando scrivo di loro ne sento la vicinanza. Lontananze che si annullano, anime che tornano corpi, assenze che si fanno presenze. Sono ancora qui: sento il loro soffio vitale… respiro libertà.

 

Ermanno Bresciani