Anche questa Festa Patronale, come quella del gennaio 2021, è segnata dalla situazione pandemica, che ormai ci sta accompagnando da due anni e che – ce lo auguriamo davvero – possa essere superata con cure efficaci e con un supplemento di responsabilità da parte di tutti. Occorre ri­conoscere che la pandemia ha disorientato tante persone creando solitudine, ansia e paura, diffondendo sofferenza e morte, facendo sì che molti si chiudessero in sé stessi, allen­tando i legami sociali e il senso comunitario.

Anche le nostre Parrocchie sono state messe alla prova e si sono per così dire “svuotate” di tanti fedeli! A dire che oggi c’è un “gregge smarrito”, che si è allontanato dalla Chiesa, dall’Eucaristia, dalla vita comunitaria e dall’esperienza fe­conda della fraternità.

Ma non possiamo scandalizzarci per questo, perché do­vremmo avere sempre nel cuore la certezza che è il Signore Risorto a raccogliere la sua comunità; è Lui che custodisce la libertà dei credenti e non la trattiene, lascia che ognu­no compia le sue scelte lungo il cammino della vita. D’altra parte non dobbiamo nemmeno rassegnarci in maniera fa­talistica, ma prendere coscienza e preoccuparci della nuova imprevedibile realtà che abbiamo di fronte, senza cedere alla logica del lamento sterile e inconcludente, ma che non porta da nessuna parte.

Vorrei allora, in questa particolare occasione della Patro­nale, cercare di rispondere ad una precisa domanda, che esprimo così: di che cosa abbiamo bisogno noi discepoli di Cristo, in un contesto come l’attuale, in una situazione così inedita e complessa? Che cosa non può mancare di essen­ziale per la nostra fede? (…).

Un primo atteggiamento di fondo mi pare quello che ci deve portare ad affinare lo sguardo sull’intera Comunità pastora­le. Siamo chiamati a vedere cosa Dio sta operando in mezzo a noi, a riconoscere il tanto bene che c’è, i vari carismi spiri­tuali, la voglia di fare comunità, di costruire buone relazioni, di camminare verso una vita piena. Mi ricordo una massima che ripeteva spesso il Card. Arc. Dionigi Tettamanzi: “Fare meno, fare meglio e fare insieme”. Oggi più che mai sono decisivi la corresponsabilità, il saper collaborare, l’essere unitivi, la capacità di lasciare posto agli altri, di procedere uniti, eliminando i vari personalismi che frenano il cammino e portano ad escludere (…).

Un secondo atteggiamento significativo ci deve portare ad allargare il nostro sguardo in una prospettiva sinodale, così come afferma Papa Francesco per il cammino della Chiesa in questo terzo millennio dell’umanità.Occorre cioè abitare realmente i territori dell’umano, andare incontro alle reali situazioni delle persone, per essere comunità aperte, avere un atteggiamento ospitale, perché – li chiamo così – anche “quelli di fuori” possano sentirsi a casa a contatto con noi discepoli di Gesù. sentirsi a casa a contatto con noi di­scepoli di Gesù. I

In questa prospettiva mi sia permesso un breve accen­no alla situazione dell’O­spedale cittadino, dato che, nonostante i tanti ap­pelli (compreso quello di noi parroci del Decanato), prosegue il suo depoten­ziamento, togliendo così un indispensabile presidio ai tanti cittadini di Somma e del circondario. E’ un fatto che ci amareggia non poco, soprattutto pensando ai molti anziani del nostro territorio, che vedono in questo nosocomio un presidio “amico” perché vicino!

Desidero altresì esprimere qui il mio ringraziamento all’Ammi­nistrazione comunale, per la sua attenzione verso le Parrocchie cittadine e soprattutto per la sincera e leale collaborazione sempre fruttuosa. Grazie di cuore e avanti con fiducia e lungi­miranza, nella costruzione del bene comune.

Infine – è un terzo atteggiamento che sottolineo - come cre­denti siamo chiamati ad accogliere, incoraggiare e mostrare che l’incontro con il Signore da luce, forza e gioia all’esistenza.

Mi domando allora: quale immagine di Chiesa stiamo offrendo in tutte le delicate situazioni vitali e critiche che ho brevemente elencato qualche momento fa? Quale immagine di Chiesa mo­striamo a chi si avvicina alla comunità? Quale immagine di fede scaturisce dalle nostre celebrazioni liturgiche? Siamo davvero attraenti e pronti a intercettare i bisogni dei fratelli e delle so­relle che ci stanno accanto? Come facciamo vedere l’amore di Dio agli uomini e alle donne del nostro tempo? (…).

Diceva Antoine de Saint-Exupéry: “Una comunità non è una somma di interessi, ma una somma di dedizioni”. Forse do­vremmo ricuperare un po’ quell’innocente candore e quella fortezza nella testimonianza di fede che hanno contraddistinto la nostra giovanissima Patrona Sant’Agnese; essa rimase salda nella prova con fermezza e dignità incomparabili e attinse da Cristo la forza del supremo sacrificio.

Concludo con una folgorante espressione di un sociologo cana­dese (Charles Taylor – L’Età secolare): “Se oggi arrivasse Cristo in piazza e cominciasse ad annunciare la sua Parola – che era fuoco vero – cosa accadrebbe? Al massimo gli chiederebbero i documenti”.

Dicevo l’anno scorso a questa Messa: “Tocca a noi, tutti insie­me”. Oggi aggiungo: “Andiamo incontro ai fratelli e alle sorelle della nostra città, per vincere il torpore e le banalità (è la richie­sta dei documenti!), comunicando l’amore di Dio. Di questo ha bisogno l’uomo oggi: di sentirsi amato e di avere qualcuno da amare. E Dio è l’amore eterno che da sempre ci ama e chiede a ciascuno di imitarlo, amando davvero questo nostro tempo.